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I capolavori raccontati

19 Gen 2017 — 09 Mar 2017, ore 00:00

L’appassionante storia della Torre di Pisa, i misteri del Cristo morto di Mantegna e i significati politici del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti. La V edizione de I capolavori raccontati ci porta alla scoperta di opere celebri, eppure assai ricche di avvincenti segreti, come il Ritratto di Eleonora di Toledo di Bronzino, I miracoli di Sant’Ignazio di Rubens, le Opere di misericordia di Caravaggio. Il Ritratto di Innocenzo X di Francis Bacon e il Polittico Stefaneschi di Giotto.
A cura di Marco Carminati

Salvatore Settis - La Torre di Pisa

Salvatore Settis – La Torre di Pisa

La Torre di Pisa è uno dei monumenti più famosi al mondo, divenuto ormai una delle massime icone dell’Italia e del Medioevo europeo. L’opera che ammiriamo oggi nella sua interezza e nella caratteristica pendenza, fu in realtà costruita nell’arco di due secoli. I tempi lunghi, anzi lunghissimi, della sua costruzione tuttavia non hanno impedito il risultato che vediamo: una mirabile unità compositiva che presuppone un progetto unitario e un’eccezionale costanza nel condurlo a termine, di generazione in generazione.La Torre di Pisa non è soltanto il prodotto di un orgoglio civico, ma anche il risultato di inconsuete conoscenze e calcoli matematici e geometrici, nonché di una sapienza architettonica e costruttiva senza confronti a quel tempo. Archeologo e storico dell’arte, Salvatore Settis collabora stabilmente con «La Repubblica», «Il Sole 24 Ore» e «L’espresso». È stato visiting professor in Università americane ed europee e nel 2001 ha tenuto le Mellon Lectures di Storia dell’Arte alla National Gallery di Washington. Dopo aver diretto il Getty Research Institute for the History of Art di Los Angeles (1994-99), è tornato a insegnare Storia dell’Arte e dell’Archeologia Classica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, di cui è stato direttore. Accademico dei Lincei, delle Accademie delle Scienze di Berlino, Monaco e Torino, dell’Accademia Reale del Belgio e dell’American Academy of Arts and Sciences, le sue opere sono state tradotte in più di undici lingue. Tra le sue opere La tempesta interpretata. Giorgione, i committenti, il soggetto (1978 e 2005), La colonna Traiana (1988), Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale (2002, con il quale vince il Premio Viareggio nella sezione “Saggistica”), Futuro del «classico» (2004), Iconografia dell’arte italiana 1100-1500: una linea (2005), Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile), Azione popolare. Cittadini per il bene comune (2012) e nel 2014 Se Venezia muore. rassegna I…

19 Gennaio 2017, ore 21.00

Marco Carminati - Il Cristo morto di Andrea Mantegna

Marco Carminati – Il Cristo morto di Andrea Mantegna

Le uniche notizie certe sul Cristo morto di Andrea Mantegna riguardano l’arrivo del dipinto nella Pinacoteca di Brera a Milano. Furono l’acume, la pazienza e l’impegno personale di Giuseppe Bossi, pittore e segreterio dell’Accademia Braidense, a permettere l’esportazione del dipinto dai confini dello Stato Pontificio. “Il tempo, che fa le repubbliche e gli imperi, farà viaggiare anche questo dipinto”, scriveva Bossi nel 1804. L’opera giunse a Milano tre anni dopo, ed entrò a far parte del patrimonio dell’Accademia di Brera nel 1824. Una vicenda fatta di attese, rinunce ed errate valutazioni, alla quale presero parte anche Antonio Canova e il potente cardinale Fesch, zio di Napoleone. Rassegna I capolavori raccontati

26 Gennaio 2017, ore 17.45

Stefano Zuffi

Stefano Zuffi

Durante la prima metà del Trecento l’orgogliosa Repubblica di Siena raggiunge l’apogeo della fortuna economica.La città è stupenda. Vede crescere edifici spettacolari come il Duomo, il Palazzo Pubblico e i vasti conventi dei nuovi ordini religiosi, si dota di un efficiente sistema idraulico, si espande armoniosamente lungo i crinali delle colline. La generale volontà di riorganizzare, pianificare, abbellire la città dà forma a un contesto urbano compatto, grazie anche a pionieristici provvedimenti di arredo urbano, come per esempio l’obbligo di dotare di bifore con colonnine di marmo tutti gli edifici prospicienti piazza del Campo. Passata indenne, come un vascello di pietra e mattoni, attraverso i marosi del tempo, la Siena trecentesca si specchia anche nei capolavori della sua importante e originalissima scuola pittorica. Ai pittori vengono affidati incarichi di esplicito contenuto politico: una rivoluzionaria strategia dell’immagine che celebra l’attività del governo cittadino e riveste di arte molti aspetti della vita pubblica, comprese perfino le copertine dei registri delle tasse. E’ questo lo straordinario contesto storico-culturale al quale appartengono gli affreschi delle Allegorie del Buono e del Cattivo Governo, dipinti da Ambrogio Lorenzetti fra il 1337 e il 1340 nel Palazzo Comunale di Siena, considerati oggi come il più celebre manifesto politico mai dipinto. Rassegna I capolavori raccontati

02 Febbraio 2017, ore 21.45

Cristina Acidini - Ritratto di Eleonora di Toledo di Bronzino

Cristina Acidini – Ritratto di Eleonora di Toledo di Bronzino

Protagonista di molte storie diverse – della moda e del costume, della famiglia Medici, della ritrattistica di corte nel pieno Rinascimento – il quadro della Galleria degli Uffizi di Firenze raffigurante La duchessa Eleonora di Toledo col figlio Giovanni di Agnolo Bronzino, del 1545, esercita un’ipnotica suggestione su chiunque si soffermi a guardarlo. E questo non solo per la bellezza della donna ritratta, che posa sull’osservatore uno sguardo fermo e sereno entro un volto ovale di armoniosa purezza; non solo per la qualità della pittura, che rende con precisione infallibile le fattezze e le vesti della madre e del figlio; ma anche e forse soprattutto per il fascino del tessuto della sfarzosa veste femminile, un tessuto ricercato e raro, memorabile per la forza del disegno e dei contrasti cromatici fra il bianco, il nero e l’oro. Quell’abito secondo alcuni non è mai veramente esistito, ma va interpretato piuttosto come un compendio di messaggi simbolici, funzionali al rango della corte medicea: pochi ritratti riescono, come fa questo in modo mirabile, a raccontare i successi e le aspirazioni di un momento storico, attraverso la bellezza prepotente delle cose, sul crinale di un precario e suggestivo equilibrio fra natura e arte. Rassegna I capolavori raccontati

09 Febbraio 2017, ore 21.00

Piero Boccardo

Piero Boccardo

Escludendo Roma, è difficile trovare in Europa una chiesa che vanti un patrimonio di pale d’altare del Seicento della varietà, della qualità e dell’importanza di quelle della Chiesa del Gesù di Genova.Tra i vari autori presenti, ben tre – il fiammingo Pietro Paolo Rubens, il bolognese Guido Reni e il francese Simon Vouet – sono non solo considerati maestri grandissimi, ma per di più illustrano bene le differenti declinazioni dell’arte barocca. In particolare, la tela dei Miracoli di sant’Ignazio di Rubens, ha anche la prerogativa di costituire un sommo esempio non solo della celebrazione, ma più spiccatamente della promozione e della propaganda della religione cattolica nel Seicento, nella fattispecie attraverso un suo vero e proprio campione: Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine dei Gesuiti. Inoltre, la concezione della luce e dello spazio e le preziosità cromatiche che la caratterizzano rappresentarono una lezione imprescindibile per tutta la pittura genovese del Seicento. Rassegna I capolavori raccontati

16 Febbraio 2017, ore 21.00

Nicola Spinosa

Nicola Spinosa

La Madonna della Misericordia è un’opera fondamentale per la ricostruzione della fase iniziale del primo soggiorno di Caravaggio a Napoli, dopo la sua rocambolesca fuga da Roma nel maggio del 1606 per aver ferito a morte, nell’ottobre precedente, Ranuccio Tomassoni. Il dipinto rappresenta le sei opere di misericordia corporale: vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, dar da bere agli assetati, visitare i carcerati, dar da mangiare agli affamati e seppellire i morti. Opere a quel tempo praticate a Napoli, in condizioni imposte dalla realtà economica e sociale del tempo, e che si traducevano concretamente sia nelle pratiche religiose di fede sia nei diversi atti di assistenza umanitaria. Nella tela dipinta in poche settimane Caravaggio traduce in immagini vivaci e toccanti, che sembrerebbero riprese nei vicoli affollati della Napoli d’inizio Seicento, i principi delle opere di misericordia corporale cari ai fondatori del Monte di Misericordia, committenti dell’opera. Fin dal 1969 Nicola Spinosa è stato funzionario storico dell’arte presso la Soprintendenza per il patrimonio storico-artistico e poi del Polo Museale di Napoli, di cui è stato il responsabile dal 1984 al 2009. Dal 1992 al 2010 è stato docente di Museologia e Storia del Collezionismo presso l’Istituto Universitario Sant’Orsola Benincasa di Napoli.Ha curato il nuovo allestimento delle raccolte del Museo di Capodimonte (con una nuova sezione sull’arte contemporanea), della Certosa e del Museo di San Martino, della raccolta orientale del Museo ‘Duca di Martina’. Ha aperto al pubblico la Biblioteca di Storia dell’Arte ‘Bruno Molajoli’ in Castel Sant’Elmo, sede anche di mostre temporanee e dal 2010 del Museo del Novecento a Napoli.Ha promosso vari interventi di restauro sul patrimonio artistico napoletano, tra i quali, oltre a vari dipinti (Tiziano, Parmigianino, Caravaggio, Ribera) e oggetti dei musei napoletani, quelli dell’Arco di Alfonso d’Aragona a Castel Nuovo, degli affreschi del Domenichino e del Lanfranco nella…

23 Febbraio 2017, ore 21.00

Valerio Terraroli

Valerio Terraroli

Uno spazio nero, profondo, linee ortogonali dorate che definiscono il recinto claustrofobico di una gabbia, un trono antico e, seduta in esso, la figura di un pontefice, immobile, ma urlante. L’opera risale al 1953 ed è una delle più forti e inquietanti invenzioni del pittore anglo-irlandese Francis Bacon. Non una semplice rivisitazione, né, tantomeno, una citazione, ma, al contrario, una complessa e tragica rimeditazione del capolavoro Ritratto di papa Innocenzo X dipinto nel 1650 dallo spagnolo Diego Velàzquez e conservato nella galleria Doria Pamphilij a Roma.Bacon è stato uno dei più grandi artisti della seconda metà del Novecento, capace di lacerare l’oscurità con tagli di luce che rivelano, anche se per un solo istante, la brutalità, la violenza, la forza e la bellezza convulse della vita per trasformarle in una visione assoluta e, per ciò stesso, eterna. Rassegna I capolavori raccontati

02 Marzo 2017, ore 21.00

Antonio Paolucci

Antonio Paolucci

Il Polittico Stefaneschi è una delle opere più celebri di Giotto. Prende il nome dal cardinale Jacopo Caetani Stefaneschi, che commissionò l’opera a Giotto, al prezzo di ottocento fiorini d’oro. Una cifra davvero ragguardevole per l’epoca, se si pensa che un buon cavallo da lavoro lo si poteva pagare al massimo tre o quattro fiorini e che la paga annuale di un operaio specializzato difficilmente superava i dieci. Ma il prezzo cospicuo non deve sorprendere, considerato che Giotto era in quel momento l’artista più celebre e meglio pagato d’Italia. Lavorava per i francescani di Assisi e per i magnati fiorentini, e oltre al papa di Roma, erano suoi clienti i Visconti di Milano, gli Angiò di Napoli e il ricchissimo banchiere Enrico Scrovegni, per il quale aveva affrescato la Cappella dell’Arena a Padova.Però questo, il polittico “double face”, dipinto su due lati, era l’impresa più prestigiosa della sua carriera. Perché era destinato ad essere collocato sull’altar maggiore della Basilica di San Pietro, sopra la tomba del Principe degli Apostoli, nel luogo più sacro della Cristianità. Lì, dove oggi c’è l’Altare della Confessione sovrastato dal baldacchino in bronzo del Bernini, lì, nel cuore della antica San Pietro, era collocato il polittico di Giotto documentato (certificava una iscrizione oggi perduta) all’anno 1320. Così, brillante di lacche colorate e di vernici traslucide lo videro Francesco Petrarca e il Boccaccio, Carlo VIII Valois e Martin Lutero, il giovane Michelangelo e Raffaello. Rassegna I capolavori raccontati

09 Marzo 2017, ore 21.00


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