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Dove

Pinksummer

Fondazione Palazzo Ducale Genova

La terza mostra di Stefania Galegati da pinksummer è costituita da due video, un’installazione di scritte proiettate a muro, da alcune fotografie tratte dai quaderni delle presenze che si trovano talvolta nelle gallerie d’arte e poi da un librino, attorno al quale, come spiega Galegati di seguito, orbita l’intera mostra: è una storia d’amore per e-mail tra un’artista e un collezionista; una storia intima. Sono lavori che muovono da un’attitudine che potrebbe essere definita la patologia del turista in differita estesa alla quotidianità, una sorta di nevrosi della registrazione che finisce per posticipare il godimento della vacanza al ritorno a casa, quando nell’intimità si riesce finalmente a far propria la vita srotolandone le immagini. Il concetto di intimità viene sviluppato da un progetto prismatico, le cui facce sono collegate da sottili rimandi che muovendo dall’individuale riflettono il collettivo. Il sé sembra ritrovarsi nelle manifestazioni del mondo, e il mondo trova un unico corpo nelle vibrazioni prodotte dalla gente e con esso una sua metafisica elementale. Il sistema dell’appunto, del lavoro per caso ne costituisce la dinamica coerente alleggerita dall’a priori della struttura. Rispetto al comunicato stampa abbiamo scelto di riportare semplicemente alcune e-mail che ci siamo scambiate con l’artista in fase di preparazione della mostra: un”comunicato stampa per caso” è spontaneo e colloquiale.

COMUNICATO STAMPA
Ci racconti, con un pò di urgenza, la mostra che hai in mente per pinksummer.
Nella mostra da pinksummer vorrei mettere tutta una serie di appunti per caso. Si tratta di una linea che il lavoro ha preso negli ultimi due anni e che fino a ora ho rifiutato di esporre come lavoro vero e proprio… materiale che usavo più per eventi o serate. Ha un peso diverso, nel senso che sono appunti presi in giro, ma pian piano hanno cominciato a diventare parte fondamentale del lavoro, probabilmente sono stata condizionata dal fatto che sono una zingara, ma anche dalla necessità di appropriarmi del mondo in una maniera maniacale e restituirlo facendo da filtro. Insomma, quello che consideravo lavoro vero e proprio si è avvicinato talmente tanto a questa attitudine, e quello che è cominciato come appunti si è spostato così tanto verso il lavoro vero e proprio che ora non riesco più a distinguerli. Il progetto avrà diverse forme, avevo anche cominciato dei quadri, ma poi ho capito che devo mettere solo il libro (vedi oltre)… i quadri distoglierebbero l’attenzione dalla “realisticità” di tutte le altre cose. I video e le foto delle scritte serviranno a dare contesto e “veridicità” al libro.
Comunque, vi racconto i lavori: sono video che prendo 24 ore su 24 dovunque io sia e che, in genere, monto ogni 4 – 5 mesi e aggiungo poi la musica. Ognuno acquisisce il suo carattere, che cambia a seconda del mio essere filtro del mondo, a seconda della situazione di vita in cui mi trovo etc. Mostrerei quello fatto principalmente in Argentina, (ma anche Italia, NewYork e Berlino). Si chiama “L’ora del Sud”, ed è diretto a situazioni in cui si sente la necessità di affidarsi a qualcuno o a qualcosa. Sto finendo di montare ora un video che si chiama “Implosion”, è molto ironico, un po’ stupido quasi. Sono situazioni legate a riti e abitudini collettive, una specie di superficie che avvolge il mondo. C’è tanta Italia del calcio, ho raccolto tutte le magliette con scritto Italia in tutto il mondo, e tante chiese assurde. In tutto ciò si sente il caldo.
E’ difficile descrivere questi video senza vederli. (magari uno mostrato a monitor e uno proiettato)
Vorrei poi mostrare le foto delle scritte come diapositive. Le potete vedere sul sito http://www.galegati.net/sito/special/notes/frascati.html
Ne ho molte, devo selezionarle ben bene. (quindi magari mettere due proiettori di quelli con il caricatore tondo).
Ci sarà una cosa che ho appena cominciato a fare: sono raccolte di foto delle firme dei libri delle gallerie, che qui (New York) si trovano in tutte le gallerie e tutti firmano e fanno anche commenti assurdi. Sono messe insieme a patchwork e il lavoro si chiama “Interesting Congratulation”. Vorrei stamparle, non tanto grandi 40 x 50 o 30 x 40, non so ancora, è una cosa ancora un po’ fresca… ci potete trovare la firma di John Baldessarri di fianco a Fire your curator e Andy Warhol…
Una cosa a cui tengo moltissimo è una specie di libricino: è anch’esso un lavoro per caso perché me lo ha passato un’amica, ho cambiato nomi e luoghi… comunque e’ una raccolta di email di una storia d’amore via internet fra un’artista e un collezionista. Ve lo allego. {{{attente tutte le persone che lo hanno letto non sono riuscite a fare altro tutto il giorno.}}}
Siccome non vorrei dargli il carattere del libro, lo stamperò formato a4 e pinzato, vorrei farne una larga distribuzione a basso costo. (Ho anche trovato una traduttrice per farlo in inglese, e al tipo di Printed Matter l’idea è piaciuta molto, ma questo è un altro discorso…) Mi piace che il librino non venga ‘percepito’ in galleria, è una cosa che uno si porta a casa per leggerlo poi.
Questo è più o meno quanto. Ho un po’ paura sul come gestire lo spazio. Anzi appena vi capita mandatemi la piantina della galleria… in effetti mi basta sapere quanti metri per quanti… Vorrei che saltasse fuori una mostra quasi esageratamente generosa di immagini e suoni, ma allo stesso tempo fatta di leggerezza. Cosa ne pensate?
Ah, poi pensavo all’invito, vorrei mettere un’immagine di Garibaldi, un’altra cosa che ho cominciato a fare, è una raccolta delle immagini delle statue di Garibaldi in giro per il mondo. Ne ho una molto bella di quello lì fuori da voi… ve la allego leggera.
un abbraccio a tutte e due

In mostra dunque due video “L¹ora del Sud” e “Implosion” (visti ieri) uno su monitor e uno proiettato poi carousel x scritte e foto di album firme delle gallerie. (Sono 10, 27 x 36 cm. ho fatto una prova di stampa ieri per vederle appese e mi sembra una buona dimensione) e poi librino storia d¹amore tra collezionista e artista. Non vediamo l’ora di vederla installata” io non vedo l’ora di installarla!!!
Era tanto che non dormivo la notte pensando a una mostra.
L’idea della gommapiuma per sedersi non ci dispiace, il librino come lo presenterai, hai bisogno di un supporto?
Veramente non so ancora… dipende un pò anche dall’effetto del resto dello spazio come interagisce tutto, ma si può decidere all’ultimo minuto se metterli tutti a terra e magari una stampata appesa al muro così che uno può leggersi qualche frase in qua e in là come preview… oppure su un tavolino… in ognuno dei due casi pensavo che ci vorrebbe per l’opening una persona che si occupa della distribuzione… se Nelda avesse voglia… in ogni caso lo terrei al centro dello spazio. È un pò il fulcro più intimo intorno a cui gira tutta la mostra e attraverso cui si connettono le altre cose. Le dia delle scritte come scrittura, come gesto liberatorio e non solo, fanno un po’ da tramite fra il libro e i video che invece sono più aperti al mondo e meno specifici, ma hanno molti rimandi. Nell’altra direzione le stampe con le firme, che sono un po’ come un sorriso, l’ironia del piccolo inconsapevole mondo dell’arte, la necessità e la ricerca del gossip ma anche quella di lasciare il proprio nome come presenza e anche una sorta di limite fra realtà e fiction, vedrete come tante sono sottili prese per il culo del sistema di per se. Io di fatto ho rubato tutto, in questo caso, mi sono limitata a mettere insieme. Quel che dicevo all’inizio era che il libro è il centro essendo il più delicato: te lo porti via e lui ti porta nell’intimità di due persone reali.
Cosa vuol dire “sono una zingara”?
Vuol dire che non ho casa. L’unica che ho qui a New York è la living room di una casa superaffollata, vuol dire che non ho intimità, mai da due anni… e che ciò probabilmente ha condizionato il lavoro.
“Si tratta di materiale non nato come opera d’arte, ma in che senso affermi che si è avvicinato talmente al tuo lavoro che ne hai voluto fare una mostra.” Essendo materiale ‘rubato’ e poi editato da me, è più vicino all’atteggiamento della fotografia… è un limite molto sottile che forse non mi va neanche di andare a comprendere. Ho sempre pensato all’arte in una maniera più purista, come qualcosa che si dovesse astrarre dal mondo, che si dovesse liberare fisicamente dall’immagine del mondo. Qui forse il risultato è uguale ma il metodo è diverso. Questa mostra è la mia vita quotidiana dell’ultimo anno e mezzo: è accaduto che tutte le cose che mi circondano in una maniera fisica siano diventate materiale su cui lavorare, e il lavoro viene fatto in postproduzione: è come andare a raccogliere le mele per farne una marmellata o una torta o whatever, o invece andare a raccogliere la mela, osservarla, e magari decidere di esporla in un museo per una qualche ragione… scusate l’esempio stupido non è neanche tanto riuscito bene…
Come se invece di rubare le idee dal mondo ne rubassi la fisicità. Non mi è ancora chiaro tutto ciò, per cui forse vi sembrerà confuso questo discorso, a me un po’ confonde, ma credo solo sia perché non ho ancora visto la mostra… ma in sostanza è il metodo di lavoro che mi sembra si sia alleggerito, è diventato quotidiano e mescolato alla vita in maniera quasi indistinguibile per me. Se sono in giro senza camera, ormai mi sento male, come se avessi un terzo occhio che mi segue sempre.
Quando affermi (nella vecchia e-mail) che ti rifai a quei momenti in cui c’è bisogno di affidarsi a qualcuno o a qualcosa credi che alcuni fenomeni di massa, quali calcio o eventi storici tipo i funerali di Giovanni Paolo II, producano vibrazioni emotive simili a quelle indotte dalla psicologia del rituale, e in questo senso sono in qualche modo da intendere come ricerca metasensibile: l’umanità in poche parole cerca dove può, dove riesce, la sua metafisica?
Si, questo si è evidente. È un pò come avere una visione in cui tutto è chiaro e semplice, come succede se pensi il mondo come a un’astronave o come a Gaia (B. Fuller e Asimov, sempre rubo!)… Il mettermi dietro a una camera vuole essere questo stesso atteggiamento di distanza rispetto alle cose. Sembra un contrasto rispetto alla ‘ricchezza’ in termini di quantità di immagini della mostra, ma è come prendere distanza dalle cose per esserne parte integrante. Il metodo è opposto ma le intenzioni sono le stesse nei quadri delle architetture degli zoo. Ho un’altra citazione bella, ora ve la cerco. Sentite che bella. “Dalle parti di Miano, poco distante da Scampia, c’erano una decina di Visitors. Erano stati chiamati a raccolta. Uno spiazzo davanti a dei capannoni. C’ero finito non per caso ma con la presunzione che sentendo l’alito del reale, quello caldo, quello più vero possibile, si possa arrivare a comprendere il fondo delle cose. Non son certo sia fondamentale osservare ed esserci per conoscere le cose, ma è fondamentale esserci perché le cose ti conoscano”. Viene da questo libro di Saviano sulla camorra, pare che in Italia sia diventato famosissimo negli ultimi mesi…
Spesso quando parli del tuo lavoro nomini l’assurdo, intendi quei momenti strani in cui un mondo meno denso, ma non meno reale si rivela. Stiamo cercando di vedere il movente di questo progetto, rispetto anche a quello che è il tuo lavoro, o almeno a quello che crediamo che sia e che ci piacerebbe che fosse: una forma di evocazione o meglio di rivelazione di un magnetismo, di un’energia sottile e potente che nel tuo disegno arriva sempre per fare inciampare una natura o meglio una esistenza da cui la spiritualità è stata bandita.
È molto bella questa ultima frase. Mi pare che centriate appieno le intenzioni. Aggiungo che mi piacerebbe dare a questa mostra una forma un po’ astratta in cui ci sono delle linee che ritornano in ogni cosa con un’attenzione diversa. Ci sono dei rimandi e riferimenti continui fra ognuno di questi lavori che vorrei lasciare scoprire pian piano. Come se si trattasse di un secondo montaggio oltre a quello dei singoli lavori. E i rimandi sono tanti, sia per similarità sia per contrasto: mettere insieme il parco giochi a tema della Terra Santa con la madre nordamericana che non è in grado di spiegare alla figlia che cosa sia successo alle madri di Plaza de Mayo. La follia dell’inventarsi un credo e una fiducia in un evento sportivo, tanto quanto il jazzista che sputa l’anima sulla batteria, tanto quanto l’inventarsi un possibile amore digitale a distanza e viverlo come se fosse vero… non riesco ad estrapolare un’idea generale dietro a tutto ciò, ma quando collego tutte le cose insieme mi salta fuori un’immagine chiara. Come un groviglio di nodi che va a formare una palla, se stai distante vedi una palla se ti avvicini vedi solo corda annodata… allora vi allego il librino, ci vediamo prestissimo
Ancora una cosa: Garibaldi.
Garibaldi non è un lavoro. non so che farci, un invito intanto. Sto raccogliendo tutte le statue di Garibaldi nel mondo. Parla dell’italianità nello stesso modo del video “Implosion”. Mi interessa il fatto che fosse un rivoluzionario involontario. Lui in fondo voleva solo combattere, ma ha fatto l’Italia. Mi piace raccogliere cose con cui non so cosa fare, ma sono tutte cose che mi porteranno da qualche altra parte. Nei due video che ci sono in mostra, c’è rispettivamente Garibaldi in Plaza Italia a Buenos Aires, e quello di Washington Place a NYC. Nelle diapo delle scritte c’è una targa nel mio paese (Bagnocavallo) messa quando Garibaldi passo da lì, in fuga, ma festeggiato come un eroe, dai romagnoli.
Col mio amico Marco pensiamo da tanto di farci una tshirt, come quelle di Che Guevara…