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Fondazione Palazzo Ducale Genova
incontri sul governo a scartamento civico
Nel 1996, durante i lavori preparatori della Conferenza Habitat II, promossa dall’agenzia Habitat-Nazioni Unite e tenutasi a Istanbul, Jordi Borja e Manuel Castells presentarono un rapporto in cui si sottolineava che «le città stanno assumendo un ruolo sempre più importante nella vita politica, economica, sociale, culturale e mediatica».
Già vent’anni fa l’analisi metteva dunque in luce la ripresa del protagonismo urbano nel bel mezzo del fenomeno di globalizzazione/mondializzazione: le città diventavano agenti primari nell’opera di governance, fuoriuscite ormai dalle tradizionali coordinate di governo Stato-nazione.
La fine del XX secolo era inoltre il momento in cui emergeva la proposta di pensare la città come luogo rifondativo della democrazia, in cui i sindaci eletti direttamente dai cittadini si facessero garanti di un rinnovato pactum societatis. Le città dunque come baluardo di resistenza, nell’ulteriore aggravarsi del processo di passaggio dalla post-democrazia alla “Democratura”, intesa come prosciugamento delle regole democratiche, ridotte a un guscio vuoto all’interno del quale crescono derive autoritarie.Sicché, se in passato il punto di osservazione era quello del governo dei flussi sovra-nazionali, in età globalizzata, ormai da tempo, il focus è venuto spostandosi su quello della rifondazione di democrazia a partire dalla dimensione urbana: le città come ultima difesa e ultima speranza. E’ stata Londra ad opporsi alla Brexit e sono state New York, Boston, Seattle e tutte le città californiane l’epicentro dell’opposizione a un Trump eletto dall’America profonda e rurale, quantitativamente minoritaria.
L’anno cruciale è stato il 2011, con l’apparizione planetaria del fenomeno dell’indignazione riprodotto in centinaia di accampamenti cittadini, dalla madrilena Puerta del Sol al Zuccotti Park di New York, in cui le istanze di riappropriazione dei diritti di cittadinanza si sposavano alla militanza urbana.Le analisi più recenti presentano tesi simili, con accenti più diversi: vuoi come cambiamento politico attraverso rivoluzioni nel modo di pensare, maturate nella dimensione urbana; vuoi come conquista dell’autogoverno; o come momento di aggregazione e reciproco riconoscimento all’insegna del siamo il 99 per cento; oppure ancora come resistenza urbana potenziata dalle interdipendenze, attraverso network di città su scala mondiale. Analisi diverse ma tuttavia convergenti sempre nell’affermazione della politica democratica, a fronte dell’avanzante demagogia, e sempre indicando nello spazio urbano il punto primario di opposizione e scontro, in cui trova affermazione l’istanza a difesa della società.