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Fondazione Palazzo Ducale Genova

Mostra a cura di Milly CodaGiuliano Galletta e Sandro Ricaldone
Ducale Spazio Aperto, 18 marzo – 2 aprile 2017


Nel vicolo
più buio di una tomba
più lungo di una cantilena
gli stracci della miseria
Qui non è d’obbligo morire
per uscire dalla vita
Santa miseria
battesimo a viatico da sempre
consacra la nostra pazienza

Se dipingere significasse semplicemente imbrigliare in un quadro l’ombra di un mondo esteriore o, di converso, filtrare la realtà attraverso l’invenzione, sia decorativa che tragica, metafisica addirittura sarcastica, ebbene anche io in quel mezzo metro di spazio culturale che mi è concesso (o che ho usurpato) potrei dire che a dipingere ho cominciato assai presto. E che ne hanno fatto le spese i muri imbiancati della cucina di casa che, ancora bambino, affrescavo con maggior disinvoltura di un Kline o di un Levee, utilizzando tozzi di carbonella.
Dai muri di cucina la mia pittura si trasferì sui fondi di scatole di cartone che il merciaio sottocasa mi regalava. E non ebbi più bisogno di pescare nella carbonaia pezzi di torba perché mio padre mi regalò una minuscola scatola di acquerelli, quindi di colori veri. E da allora i colori e i pennelli non li ho più abbandonati. So di avere il vizio del segno, l’ossessione dei colori ma solo perché segno e colori mi aiutano a mettere in luce (una luce disintegrata, da acquario) gli impulsi, i suggerimenti e persino le “bestemmie” della mia poesia.
Un sillabario forse anche monotono: i soliti personaggi, lo squallore dei fondali, la “santa miseria” di chi soffre in silenzio. Ma è ciò che vedo, ciò che sento. E non voglio caricare di intenzioni ciò che mi riesce di fare.
Qualcuno mi dice che cerco riparo in una costante focalità malinconica, corretta da una vena d’ironia. Ma – mi chiedo – è forse un delitto essere “vegetariano” in arte? E il gioco dell’ironia è veramente il labirinto più insidioso?