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Fondazione Palazzo Ducale Genova

Sala Dogana, dal 10 al 26 novembre 2017

Venerdì 10 novembre alle ore 18 in Sala Dogana a Palazzo Ducale inaugura la mostra Climasensibile, progetto espositivo di Anto. Milotta e Zlatolin Donchev.
Climasensibile mette in relazione una serie di installazioni create negli ultimi tre anni, evidenziando l’approccio alla ricerca che caratterizza il collettivo. I progetti selezionati propongono un’indagine multidimensionale nel sondare i diversi strati della realtà circostante, e rivelano la propria poetica nelle impronte di una presenza invisibile.
Suoni e video diventano sculture che saturano e modificano lo spazio.
 
Lavori in mostra:
 P.P.P.
Installazione audio, dimensioni variabili, 2015-2017.
Audio (01:00min., mono); lastra di marmo incisa 35x15x3cm., lastra di marmo incisa 47x15x3cm., asta microfono, custodia microfono zeppelin modificata, cavo, speaker, player.
 MONUMENTVM
Installazione video, dimensioni variabili, 2015.
Video (HD 1080p, colore, audio 2.1, 19 min); 20 oggetti readymade.
 ANTENNAE
Installazione audio-video, dimensioni variabili, 2017.
Video (30 min, HD 1080p, b/n e colore, stereo);
Antenna VLF artigianale Ø 1 m.; Scultura/struttura di sostegno ingombro complessivo 100x100x57; Struttura/schermo con telo di retro-proiezione, corda nera, 200x112x5cm; Scultura con speaker integrato, ingombro complessivo 100 x 100 x 100 cm, amplificatore, cavo audio;
videoproiettore, 2 speaker, 2 cover in pvc, corda nera, 2 amplificatori.
Si ringrazia per il supporto tecnico il Museo di arte contemporanea Villa Croce di Genova.
 
Anto. Milotta (Alcamo, 1984) e Zlatolin Donchev (Pechino, 1990) vivono e lavorano tra Sofia e Genova. Hanno studiato arti visive in diverse accademie italiane ed estere, ritrovandosi uccessivamente a frequentare il corso specialistico all’Accademia di Belle Arti di Genova. Il loro percorso condiviso inizia nel 2014, quando l’Accademia Ligustica li seleziona per la residenza The sound identity of places, organizzata dall’Accademia di Belle Arti di Perugia. Questa esperienza svela una poetica parallela nella loro pratica artistica, stimolandoli a lavorare in una direzione comune. Negli ultimi anni hanno partecipato a diverse mostre collettive, tra cui Parabola ad ArtVerona i8-spazi indipendenti; Visao expandida alla Biennale di Curitiba, Brasile, e Paesaggio in movimento, Saluzzo.
Tra le mostre personali:
Naturally Artificial al Museo d’arte contemporanea Villa Croce, Genova;
Antennae alla Tenuta la favola, Val di Noto (SR).
Tra i riconoscimenti:
vincitori della residenza Fully_Grounding – BridgeArt; vincitori del premio Matteo Olivero; segnalati per il V premio MERU Art*Science.

Approfondimento critico
 

Massimo Palazzi: (prima domanda)
Anto Milotta: Penso che qui ci sia una lettura interessante del lavoro e di alcuni punti importanti per il tipo di ricerca che stiamo conducendo, ma la complessità della domanda richiede una sintesi, esige la scelta di una direzione.
Zlatolin Donchev: Quale connessione tra materia e tempo? Poi: tecnologia e natura, quale interfaccia possibile tra materiale e immateriale?
AM: Sono attratto dall’idea che paradossalmente quando raggiungi la consapevolezza che qualcosa si può fare hai creato perfettamente quella cosa prima ancora che essa trovi il tempo di essere realizzata.
Il pensiero è la scintilla che attiva la gigantesca macchina del processo di realizzazione e proprio in questo legame sottile tra immaginazione ed esistenza sta il contatto tra natura e tecnologia.
ZD: Porterei il discorso ancora oltre. Credo che le idee non siano cose che avvengono dentro di noi: noi siamo dei canali che permettono a queste idee di entrare nel mondo materiale, siamo i mezzi del loro fluire, ma anche le macchine che le realizzano. Il punto di connessione tra il mondo etereo in cui circolano le idee e il mondo reale siamo noi. Sta a noi raggiungere certe sensibilità per accordarci un certo tipo di pensiero in modo da offrire i canali più adatti a questo tipo di energie.
AM: E’ questa l’idea alla base di Antennae. In questo senso la figura che balla intorno all’antenna è una metafora anche abbastanza spicciola di un’idea più alta.
ZD: Una chiave di lettura utile per capire la dinamica del film è considerare quell’antenna una specie di totem che non è altro che uno strumento per comunicare con un aldilà.
 

MP: (seconda domanda)
AM: Mi viene subito in mente il lavoro PPP. Quando abbiamo iniziato a ragionare sull’uso dell’audio, la cosa che più ci ha affascinato è stata l’idea di un qualcosa che andasse oltre ai confini materiali dell’oggetto e dello spazio, che avesse la capacità di attraversare la materia e farsi sentire, aggiungendo alle informazioni visive un altro canale diverso e complementare. La stessa frase, estratta dal film Teorema ( P.P. Pasolini, 1968) rivendica il diritto di una libertà personale che è quella della Proprietà Privata cui allude la targa in marmo con le iniziali di Pasolini. In questi termini il lavoro diventa politico,parla di confini, di possibilità, di anarchia. Rispetto ad esso Monumentum segna un passo successivo del nostro approcciarci all’ascolto e mostra tutte quelle componenti che impediscono l’ascolto di un luogo per quello che è. La dinamica del Kaos si traduce in un’idea di progresso di sovrabbondanza, il cimitero è un luogo costruito a misura degli uomini più ancora di una casa. Paradossalmente in quel luogo dove vorresti poter ascoltare qualcosa, l’ascolto diventa utopia. Da un lato l’anarchia del suono lo fa arrivare dove non vorresti trovarlo, ma dall’altra ti impedisce di ottenere quello che cerchi ed è qui che nasce l’idea della composizione, di andare oltre a ciò che sei in grado di ascoltare.
ZD: Puntualizzo che l’audio è una sorgente di energie che ha bisogno di una materia, in questo caso l’aria, per essere trasmesso, per arrivare alle persone, mentre le onde elettromagnetiche sono energie che non hanno materia e attraversano tutto, acqua, atmosfera eccetera. In quest’ottica Antennae è il passo successivo rispetto a questo messaggio che viaggia al di là dell’audio attraverso la fisicità di un luogo. Al di là della proprietà privata ci sono gli spazi condivisi… con Antennae scopriamo un mondo fluido in cui non importano i concetti umani di limite, confine e spazio chiuso. Non c’è neanche una dimensione personale interiore, perché queste onde attraversano anche noi, ci passano informazioni e probabilmente ci cambiano. Il nostro sguardo è sempre più rivolto verso il medium più che il messaggio. Forse davvero il medium diventa il messaggio, se ha senso rileggere McLuhan ai tempi dell’antropocene.
 

MP: (terza domanda)
ZD: Abbiamo un ragazzo indiano evidentemente abituato a ballare i suoi ritmi tradizionali, ma cosa succede quando ha nelle orecchie i suoni delle antenne? Risponde in maniera genuina ascoltando
inizialmente i tamburi, poi si abbandona naturalmente a questo mondo ignoto che per lui ha connotazioni diverse rispetto alle nostre. E non c’è risposta migliore del suo corpo che danza, perché nessuna informazione verbale sul nostro lavoro in Sicilia avrebbe potuto arrivargli così direttamente come il suono attraverso le cuffie. Nel momento in cui gli abbiamo dato la possibilità di esprimere quello che sentiva, finalmente ha capito cosa stavamo facendo, tanto che poi ha deciso di seguirci in diverse tappe del progetto.
AM: Ci sono riflessioni interessanti anche in merito al background musicale che ti permette di definire oggi cosa è musica e cosa non lo è e chi si occupa di musica contemporanea ascolterebbe questi suoni in maniera diversa da un ascoltatore qualsiasi. Ma qual è il senso di costruire una macchina che permette di captare questi suoni? Ce lo siamo chiesti anche noi e la cosa che ci ha colpito di più è stata che a differenza di chi, come noi, avrebbe potuto leggere questo fenomeno con un approccio critico, l’unico che si è avvicinato istintivamente è stato un contadino indiano, un factotum, i cui occhi erano pieni di luce. A lui questo faceva risuonare qualcosa che altri non sentivano. Quando abbiamo visto la sua attenzione durante le prove ci è apparsa un’immagine perfetta per Antennae: volevamo fare un totem e abbiamo trovato questa figura ancestrale con un’energia spontanea. Tornando all’Ayahuasca, e alla questione energetica legata al nostro lavoro, ogni tipo di esperienza ultra-sensoriale va a stimolare qualcosa dentro di noi suggerendo l’esistenza di una connessione con qualcosa di più alto che non sei abituato a sentire solo perché le tue orecchie non hanno la capacità di sentire, ma che il tuo corpo sente eccome. Come hanno dimostrato ultimamente i tre premi Nobel della medicina rispetto al meccanismo
che collega il moto della Terra e l’orologio biologico dei viventi, siamo tutti perfettamente connessi in un unico enorme meccanismo: avere la capacità di fare esperienza di tale continuità richiede un’attenzione, un’apertura, una libertà e un’ingenuità particolari.
 

MP: (quarta domanda)
AM: Perché no? Penso che c’è tanto di romantico in ciò che facciamo anche se la forma rimane rigida, contenuta in schemi determinati. In PPP il materiale impiegato diventa forma. Tu hai parlato della polvere come di un’enorme scultura, anche in Monumentum tutto questo è palese nell’ascolto della complessità della natura che cambia nel corso del tempo.
ZD: A me viene in mente che se in un dipinto romantico c’è una figura che contempla la natura, in Monumentum è il microfono che contempla la natura ma c’è anche la camera che riprende il microfono e, retrocedendo ulteriormente, dietro la camera ci siamo noi, e poi ancora, chi c’è dietro di noi? Forse in questa profondità di dimensioni, che svela i diversi strati della realtà inquadrata e porta a perdersi nella complessità dell’ambiente, c’è qualcosa di romantico. Soprattutto in Monumentum ritorna il discorso della natura e dell’entropia intesa come principio fondamentale e fondante contro cui si batte il principio vitale, che nonostante tutto nasce dentro di noi e permette a un sistema, a una macchina, di combattere il degrado della materia utilizzando le diverse energie dell’ambiente in cui prospera. Il nostro principio vitale combatte ma è destinato comunque a morire. Ma cosa muore? È questa forse la domanda fondamentale di Monumentum, muore la materia umana certo e si disfano le sue costruzioni, ma un principio vitale si manifesta attraverso la piante, le radici ed è proprio lo scontro di questi opposti che si
fa oggetto del nostro discorso.
 
MP: (quinta domanda)
ZD: Questi tre lavori per noi rappresentano un ciclo che si chiude con questa mostra, che assume una forma completa che ci permette di vedere in primis noi stessi e scoprire che comunque stiamo
percorrendo istintivamente una strada che ci accorgiamo era già tracciata. I tre lavori segnano il percorso di un’evoluzione tecnica, implicano un elemento artificiale sempre più complesso. Inoltre, Antennae non è solo la conseguenza di un primo passo fatto con Monumentum e PPP ma è anche la chiave di lettura di PPP e Monumentum. In questo senso chiude il girotondo di un ciclo che aiuta noi stessi a comprendere i nostri interessi attraverso un sistema di connessioni.
AM: Mi accorgo che l’idea che tiene insieme tutto il nostro lavoro è questa dialettica di naturale e artificiale che diventa un passaggio inevitabile, in cui il ruolo della tecnologia che non è sterile e freddo ma diventa davvero un mezzo che ci dà la possibilità di leggere la contemporaneità e l’ambiente circostante nell’accezione più ampia del termine. Non si può parlare di immateriale a proposito dell’uso di immagini digitali e onde sonore perché c’è un lavoro fisico necessario alla realizzazione di quello che facciamo, in termini di elaborazione dell’immagine e composizione di materiali raccolti con registrazioni sul campo, ma anche attinti agli archivi open-source disponibili online.
 
Testo redatto trascrivendo un’intervista di Massimo Palazzi agli artisti, registrata a Genova il 6/8/2017