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Fondazione Palazzo Ducale Genova
Il maschile come differenza
Nel primo incontro Stefano Ciccone, a partire da una serie di interrogativi, ci porterà a riflettere su come l’eterosessualità possa rappresentare una gabbia per tutte e per tutti. Ecco gli spunti del suo intervento:
L’invenzione dell’eterosessualità: una gabbia anche per gli eterosessuali?
La proposizione dell’eterosessualità come modello obbligatorio e naturale porta con sé come unica conseguenza la discriminazione e la denigrazione di chi ha un orientamento sessuale e affettivo differente?
La rappresentazione della coppia eterosessuale come naturale porta con sé un modello di complementarietà tra i sessi (femminile accogliente e maschile protettivo, femminile emotivo e maschile razionale) che produce una gerarchia di attitudini e destini.
Così l’omosessualità è spesso rappresentata come slittamento verso l’altro sesso: la lesbica volitiva e rude, il gay emotivo, sensibile e poco autorevole. Il modo in cui denigriamo (e temiamo) la persona omosessuale, mostra il nostro immaginario profondo al femminile e al maschile e dunque alle relazioni di potere tra i sessi.
E l’ironia, quando non il disprezzo e l’insulto che utilizza l’omosessualità come stigma non colpisce solo chi non si sente eterosessuale ma impone a donne e uomini una disciplina del proprio modo di stare nello spazio e di esprimere il proprio desiderio pena la perdita della propria autorevolezza o dignità. Dunque l’obbligo di corrispondenza al modello dominante di eterosessualità si rivela una gabbia per tutti e tutte.
Ma dietro l’ansia che l’omosessualità porta con sé c’è anche una più profonda rappresentazione dei corpi con cui ogni persona si misura nelle proprie relazioni e nel rapporto con se stessa: un immaginario che associa la penetrazione a un atto di sottomissione e degradazione cosa ci dice delle relazioni eterosessuali e della nostra rappresentazione del corpo maschile? La rimozione del desiderio femminile che non sia mero complemento della sessualità penetrativa ci propone una diversa rappresentazione della soggettività femminile e forse anche la necessità di rimettere in discussione le stesse forme della sessualità eterosessuale?
E la stessa esperienza della transessualità ci parla della difficoltà di ognuno e ognuna di noi di corrispondere alla rappresentazione del proprio corpo della propria sessualità socialmente costruiti?
Ma forse potremmo anche ribaltare queste domande e chiederci: esiste un’esperienza dell’eterosessualità che non sia schiacciata sull’eterosessualità come “invenzione sociale” che agisce come modello normativo?
È possibile un’altra esperienza e rappresentazione del corpo anche nel desiderio eterosessuale?
Forse proprio l’incontro di altre soggettività e altre esperienze di vita, l’emersione dal buoi dello stigma di corpi e percorsi esistenziali che non corrispondono alla norma ci permettono di ripensare l’immaginario che abbiamo associato al corpo, al desiderio, a un’idea binaria di mascolinità e femminilità che ha imprigionato i nostri gesti e le nostre relazioni.
L’abietto, inteso come ciò che è stato gettato via e l’osceno, ciò che resta fuori dalla scena, possono portarci a vedere il rimosso che fa problema nelle nostre vite.
rassegna: L’invenzione dell’eterosessualità