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Sala del Maggior Consiglio

Fondazione Palazzo Ducale Genova

Con “sposi”, nel linguaggio corrente, si intende per lo più una coppia nel tempo delle nozze o immediatamente a ridosso, e pare quindi un po’ forzato pensare di appellare sposi Lodovico Gonzaga, secondo marchese di Mantova, e sua moglie Barbara quando ormai erano trascorsi più di trent’anni dal loro matrimonio, e gli erano nel frattempo nati ben undici figli. Eppure, quella che al loro tempo era denominata “camera picta”, in un momento imprecisato iniziò a essere chiamata la “Camera degli Sposi” e in questo modo Lodovico e Barbara hanno visto eternare in termini emblematici il vincolo nuziale che li legò. Spetta comunque a Lodovico il merito di aver commissionato ad Andrea Mantegna, il grande artista che aveva espressamente voluto al suo servizio, la decorazione di quell’ambiente. Ed esso, proprio per via dei suoi straordinari affreschi, divenne allora la “camera dipinta” per antonomasia dell’intero castello di San Giorgio, il turrito maniero che poco prima era stato ristrutturato dall’architetto fiorentino Luca Fancelli perché Lodovico potesse prendervi residenza.
Quello che oggi è lo sterminato complesso del Palazzo Ducale di Mantova (più di 500 ambienti!), aveva a quella data un’estensione assai più ridotta, comprendendo solo la cosiddetta Corte Vecchia, le cui parti più antiche risalgono alla fine del Duecento, e, appunto il Castello di san Giorgio, costruito tra 1395 e 1406. Un poco discosto dalla principale piazza cittadina e, nel contempo, meglio difendibile, il castello ben si prestava a diventare la dimora della famiglia marchionale e la nuova destinazione residenziale venne appunto sanzionata dall’incarico al più apprezzato artista allora attivo a nord degli Appennini: Andrea Mantegna (1431-1506). Questi, nato nelle vicinanze di Padova, non solo al momento della chiamata a Mantova si era già distinto nel territorio veneto con opere celeberrime come la Pala di San Zeno (Chiesa di San Zeno, Verona), ma soprattutto aveva messo in luce straordinarie capacità nel campo della resa prospettica – alimentate dall’osservazione diretta delle opere padovane di Donatello e di quelle ferraresi, oggi perdute, di Piero della Francesca – e una grande sensibilità verso il mondo classico e il gusto antiquario che divennero componenti fondamentali del suo linguaggio artistico. Incaricato alla vigilia del suo trasferimento a Mantova di decorare la cappella del Castello di San Giorgio – intervento che comprese l’esecuzione della Morte della Vergine (Museo del Prado, Madrid) – Mantegna si occupò della stanza principale dell’appartamento del marchese Lodovico solo a partire dal 1465. Ma per avviare la decorazione l’artista ritenne indispensabile lo spostamento delle due finestre della sala, ubicata in una delle torri del castello: la loro posizione, ciascuna in asse a una parete, rendeva infatti problematica sia l’illuminazione, sia la dimensione delle scene da rappresentare. Nella stanza pressoché cubica (8,05 m circa), Mantegna studiò dunque una decorazione “avvolgente” che investiva tutte le pareti e le volte del soffitto, adeguandosi ai limiti architettonici dell’ambiente, ma al tempo stesso sfondandolo illusionisticamente con la pittura. Motivo di continuità tra le quattro pareti sono il finto zoccolo marmoreo che gira tutt’intorno nella fascia inferiore, e i soprastanti pilastri che le suddividono in tre sezioni. Ma solo su due pareti sono rappresentate scene figurate accomunate dal tema generale, che è la celebrazione politico-dinastica dell’intera famiglia Gonzaga in rapporto al ruolo di primo piano assunto tra gli stati dell’Italia settentrionale e nel contempo a Roma, attraverso l’elezione al cardinalato del figlio secondogenito di Lodovico, Francesco. Ed è per merito della sapiente regia dell’artista che, entrando nella sala, ci si trova di fronte all’intera famiglia Gonzaga, in posizione leggermente sovrastante, con il seguito di cortigiani e servitori: si tratta di una ventina di persone, ma atteggiamento e postura rendono immediatamente riconoscibili Lodovico e Isabella, quegli “sposi” intorno ai quali ruota l’intera decorazione che nel suo insieme costituisce il capolavoro di Andrea Mantegna.
Piero Boccardo

Rassegna I capolavori raccontati 2016