Salta al contenuto

Dove

Sala Minor Consiglio

Fondazione Palazzo Ducale Genova

«Vivere bene», in una integrazione rassicurante con chi ci sta accanto e al riparo da aggressioni alla propria incolumità, ai propri affetti e ai propri beni, è la sacrosanta aspirazione di tutti. I costituenti americani del Settecento la chiamarono «diritto alla felicità». Nella seconda metà del secolo scorso le grandi Costituzioni contemporanee hanno individuato nella giustizia sociale lo strumento per raggiungere quell’obiettivo. Oggi il diritto alla felicità sembra soppiantato dalla paura diffusa e dall’intolleranza e lo Stato sociale si trasforma sempre più in Stato penale in cui assumono un’inedita centralità la repressione e il carcere. Di qui la riflessione, proposta dall’Associazione studi giuridici Giuseppe Borrè e da Magistratura democratica insieme alla Fondazione per la cultura Palazzo Ducale, sui temi fondamentali di questa parabola: il reato, la sicurezza, la pena.
Una riflessione che viene proposta su più piani: nella scuola, nei luoghi di dibattito della società civile, nel carcere. Una riflessione, inoltre, che rientra a pieno titolo nella tradizione dei soggetti che la propongono, in particolare dell’Associazione Borrè, da dieci anni impegnata nel declinare “Parole di giustizia” (secondo l’espressione che ha dato il nome all’iniziativa organizzata annualmente alla Spezia).

Interventi:
 
Roberto Cornelli
Nelle pieghe delle paura

Di paura della criminalità si parla spesso e ovunque: nelle assemblee, a scuola, nei bar, nelle piazze, nelle case; al tempo stesso, la paura diventa criterio per la progettazione e riqualificazione urbanistica di quartieri popolari delle grandi città, ri-orienta i programmi sociali degli Enti locali, ridisegna gli spazi pubblici, ridefinisce i confini dell’area penalmente rilevante. La paura entra dunque prepotentemente nella politica, vale a dire nelle decisioni e negli atti che organizzano la vita sociale, e, prima ancora, nelle mentalità e sensibilità che competono nell’orientare quelle decisioni.
A partire da questa pervasività, s’intende affrontare il tema della paura della criminalità nella società contemporanea attraverso la scoperta della sua centralità nelle società moderne, con il proposito di rendere più intellegibili le scelte di politica criminale di questi ultimi decenni.
 
Roberto Cornelli è Professore presso l’Università di Milano-Bicocca dove svolge la propria attività didattica e scientifica nei settori della Criminologia, della Giustizia Penale e della Politica Criminale. In particolare, è autore di libri, contributi e articoli in riviste scientifiche sulla paura della criminalità (in particolare Paura e ordine nella modernità, Giuffrè, Milano, 2008), sul furto nelle società contemporanee (in particolare Proprietà e sicurezza. La centralità del furto per la comprensione del sistema penale tardo-moderno, Giappichelli, Torino, 2007), sulle forze di polizia, sulla relazione tra giustizia penale e salute mentale e sulla giustizia riparativa. Per la casa editrice Feltrinelli ha pubblicato nel 2013 il saggio, scritto con Adolfo Ceretti, dal titolo Oltre la paura. Cinque riflessioni su criminalità, società e politica.
Ha sempre affiancato all’attività accademica l’impegno sociale e quello politico-istituzionale: in particolare dal 2004 al 2014 è stato Sindaco di Cormano (MI) e dal 2017 è Presidente dell’Ente di diritto pubblico “Parco Nord Milano”.

Luciano Eusebi
La questione della pena tra diritto e morale

Sarà proposta una riflessione sul modo d’intendere la prevenzione dei reati, rivolta a valorizzare l’opzione in favore di una giustizia “reintegratrice” operata dalla Carta costituzionale. Verranno delineati in tal senso i fondamenti teorici di un modello penalistico che prenda commiato dall’idea di corrispettività e configuri la risposta al reato come “progetto”, secondo gli orientamenti della “restorative justice”. Su questa base, saranno considerate sia le criticità dei modelli attuali di costruzione delle fattispecie di reato, sia le prospettive praticabili di riforma del sistema sanzionatorio penale. Si rimarcherà l’esigenza di una politica criminale complessiva che coinvolga l’intero ordinamento giuridico in seri interventi di prevenzione primaria e di contrasto dei profitti illegalmente conseguiti: così da superare le manifestazioni del c.d. populismo penale e da consentire una contrasto nel contempo più umano e più efficiente dell’illegalità.
 
È professore ordinario di Diritto penale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nei suoi scritti ha approfondito, soprattutto, temi attinenti alla riforma del sistema sanzionatorio penale, ai criteri di prevenzione dei reati, agli elementi della colpevolezza e, in genere, alla teoria del reato. Ha dedicato vari studi, inoltre, a problematiche di rilievo biogiuridico nonché al rapporto fra teorie della pena e pensiero teologico.
È stato membro di Commissioni ministeriali sulla riforma delle sanzioni penali e, negli anni 2006-2008, della Commissione ministeriale per la riforma del Codice penale presieduta da G. Pisapia. È stato membro, altresì, del Comitato Nazionale per la Bioetica. È presidente del Centro Studi Paolo VI “Mai più la guerra” di Brescia. È membro del Comitato etico di due Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico.

Mauro Palma
Il carcere del terzo millennio

La centralità ancora assegnata da molti sistemi penali alla privazione della libertà personale in un luogo appositamente dedicato – il carcere – come pena quasi unica prevista, svela l’implicito carattere retributivo che tuttora informa questa sanzione. Una retribuzione che si concretizza in tempo sottratto, tempo vuoto, tempo tenuto sotto il controllo di chi esercita la forza legale, tempo di sofferenza.
Eppure larga parte della filosofia del diritto in ambito penale ha da due secoli almeno cercato di percorrere la via dell’assegnare utilità a questa sanzione: l’ha vincolata a un funzionalismo sociale non solo di carattere preventivo ma ricompositivo, di reinserimento positivo della persona al termine dell’esecuzione della pena, pur sfidando l’implicito ossimoro di una de-socializzazione volta alla ri-socializzaizone. Forse è però il momento di un bilancio di queste attese, sia perché il carcere ormai svela, in questo avvio di millennio, la propria fisionomia meramente escludente, segregativa e selettiva nel rivolgersi in larga prevalenza a settori socialmente deboli, sia perché il tessuto complesso delle relazioni sociali attuali richiede altre forme di ricomposizione dei conflitti, altri modi di misurarsi con le ferite sociali di cui i reati sono sintomo.
 
Presidente dell’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, che è anche Meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene inumani o degradanti previsto dall’OPCAT (Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura).
Di formazione matematica, con laurea in giurisprudenza h.c., ha fondato negli anni Ottanta la rivista Antigone e poi l’omonima Associazione. È stato membro per l’Italia e Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT, dal 2000 al 2011) e, successivamente (dal 2011 al 2015) Presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale, entrambi organi del Consiglio d’Europa,
Autore di saggi e contributi a testi collettanei sulla giustizia penale e il ruolo delle pene, è stato componente del Comitato di coordinamento degli “Stati generali dell’esecuzione penale”. È docente a contratto presso l’Università di Roma Tre nell’ambito della cattedra di Diritto costituzionale.

Marco Bouchard
Vittime e giustizia riparativa

Rovesciare la pena: dalla riparazione alla cura delle vittime.
Una trasformazione democratica del carcere è possibile a partire da un rovesciamento di paradigma nel trattamento delle offese. L’unità di misura deve essere data dal fare riparativo e non dal patire un male contabilizzato sulla privazione della libertà: è l’unico modo per realizzare il principio della residualità della pena carceraria.
Questa trasformazione si fonda – parallelamente – sulla realizzazione di una cura effettiva verso le vittime di reato che l’Italia disdegna scientemente a differenza della stragrande maggioranza dei paesi europei.
 
Sono magistrato dal 1985. Per sette anni sono stato giudice minorile e per tredici pubblico ministero a Torino. Ora sono giudice a Firenze. Ho scritto una quarantina di saggi sulle riviste di settore. Ho collaborato, sempre con dei saggi, ad alcuni trattati (da ultimo, il Trattato di diritto di famiglia per la Giuffré) e al volume “La criminalità” curato da Luciano Violante per gli Annali della Storia d’Italia; ho redatto alcune voci enciclopediche (tra cui la voce “Terrorismo” con Giancarlo Caselli per la Treccani e numerose voci per l’enciclopedia dei Diritti umani curata da Marcello Flores, UTET). Ho pubblicato per la Franco Angeli una raccolta di saggi sul tema dell’abbandono nell’infanzia; per le Edizioni del Gruppo Abele “Una giustizia minore”, una storia della giustizia minorile, “Credere e appartenere” e “5 variazioni sul credere”; sempre per E.G.A. ho curato due volumi su “La giustizia del quotidiano” e “Prospettive di mediazione”. Per la UTET ho pubblicato un volume tecnico su “Le vittime del reato”. Per la Bruno Mondatori ho pubblicato “Offesa e riparazione” nel 2005 e nel 2008 “Storia del perdono”.
Ho una pluriennale attività d’insegnamento di Diritto Civile, Diritto minorile e di famiglia, Diritto Penale presso l’Università del Piemonte Orientale (sedi di Novara e Asti). Sono stato inoltre responsabile della formazione dei magistrati, prima per il Distretto del Piemonte e della Valle d’Aosta, poi per il Distretto della Toscana.
In questo momento sono uno dei coordinatori della Rete Dafne di Firenze per l’assistenza delle vittime di reato e uno degli animatori per un Coordinamento nazionale dei servizi per le vittime di reato.