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Sala del Maggior Consiglio

Fondazione Palazzo Ducale Genova

La nascita e la sopravvivenza dello Stato d’Israele, benché i suoi fondatori siano stati per lo più ebrei secolari e non osservanti, ha generato interpretazioni di natura provvidenziale. Con l’esito paradossale che la corrente messianica dell’ebraismo, le diverse scuole della Kabbalah, il cui misticismo veniva respinto con sospetto dall’ortodossia rabbinica, oggi prendono la forma nuova di un vero e proprio sionismo politico-religioso.
 
Il “miracolo” della Guerra dei Sei Giorni che ha reso plausibile una rinascita della Grande Israele biblica, e l’idea che la Terra riconquistata sia un dono del Signore, dunque sacra e intangibile, si sposa con una visione apocalittica del tempo contemporaneo. Il tempo di una Redenzione ormai prossima, nel quale i conflitti armati e le catastrofi umanitarie del Vicino Oriente si configurano come “doglie del Messia” ormai prossimo a venire. Naturalmente si tratta di un’interpretazione che distorce il grande filone della mistica ebraica, giungendo a idolatrare il rapporto con la terra. Ma ha il fascino suggestivo di proporsi come scelta di vita radicalmente alternativa, per cui i coloni degli insediamenti in Cisgiordania si autoproclamano con un certo successo quali legittimi prosecutori dell’epopea dei kibbutz e del sionismo socialista. E tra loro, purtroppo, cominciano a manifestarsi il fanatismo e la visione delirante di un nuovo Regno d’Israele.

Rassegna: Religioni e intolleranza