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Quando

aperto tutti i giorni, ore 10-18.30
ingresso libero

Dove

Ducale Spazio Aperto

Fondazione Palazzo Ducale Genova

Il porto: una storia continua
dal 6 al 14 aprile 2022, Ducale Spazio Aperto

Nel 1964, dopo appena quattro anni dalle sue prime fotografie, Lisetta Carmi realizza uno dei più significativi reportage del dopoguerra sul tema del lavoro. La sua indagine si sofferma sul porto di Genova e sul rapporto profondo ma al tempo stesso contraddittorio con la città. Rigidamente divisa in classi sociali che vivono in aree urbane ben delimitate, la città è intrisa di moralismo cattolico nei quartieri alti e di ortodossia comunista nei quartieri operai, senza spazio né fisico né mentale per il dialogo. Carmi intende mostrare alla città gli spazi chiusi, nascosti alla vista ma soprattutto alla coscienza. Lo farà in maniera dirompente pochi anni più tardi, col lavoro sul ghetto, dove vivono i travestiti genovesi, ma è proprio con l’indagine sul porto che prende forma il suo peculiare sguardo, volto a sfidare i perbenismi e le convenzioni senza alcuna retorica. Nell’universo maschile del lavoro operaio, Carmi porta rispetto e pudore. Da subito, è chiaro allo spettatore che la fotografia è un mezzo, non il fine.

Sostenuta da Enrica Basevi, dirigente della società di cultura di Genova, Carmi inizia il progetto nel mese di giugno fingendosi cugina di un portuale che la passava a prendere all’alba per permetterle di attraversare il varco portuale. Unica figura femminile, Carmi ha così libero accesso all’interno del porto, nascosto alla città da un imponente muro di cinta. Dal suo esteso reportage sono scelti gli scatti che comporranno la mostra Genova Porto: monopoli e potere operaio, patrocinata dalla Filp-Cgil, alla Casa della Cultura di Genova-Calata del Porto. Il poeta Giuliano Scabia scrive i testi per le fotografie e Aristo Ciruzzi collabora all’allestimento.

Negli anni Sessanta e Settanta Genova ha una forte identità di città industriale e portuale, che ruota in gran parte attorno al porto. I numeri impressionanti dell’attività portuale, con un traffico di merci di oltre 30 milioni di tonnellate provenienti da ogni parte del mondo e un transito di oltre cinquecentomila passeggeri, lo rendono la più importante attività cittadina, ma le condizioni dei lavoratori sono drammatiche e largamente sottovalutate. Sono gli anni in cui le contraddizioni cominciano a emergere e anche per questo aspetto il capoluogo ligure, città natale di Carmi, si dimostrerà specchio della società italiana di quei decenni. L’obiettivo della fotografa si posa sul paesaggio portuale realizzando immagini formalmente ineccepibili dal punto di vista compositivo: chiatte, moli, banchine e gru compongono un paradigma del panorama portuale. A ricordarci che siamo a Genova sono le scritte sui moli. Ma a rivendicare un carattere di dolorosa universalità sono gli scatti che mostrano le difficili condizioni lavorative dei portuali, dagli operai dediti allo scarico dei fosfati dalle stive, immersi nella polvere bianca come in un girone dantesco, alle faticose operazioni di movimentazione merci, a torso nudo, senza alcuna protezione se non per gli stracci avvolti intorno ai visi e ai piedi. Anche qui, come in tutto il corpus fotografico di Lisetta Carmi, l’uomo è al centro del suo sguardo.

La mostra diventa itinerante in Italia, passando per Torino dove viene esposta l’anno seguente dall’11 al 15 maggio al Circolo della Resistenza, presentata dal Centro Studi Pietro Gobetti. Termina il suo viaggio in Unione Sovietica.

Nella recensione del quotidiano “Il Lavoro Nuovo” dell’11 novembre si sottolinea il significato profondo delle immagini esposte: Le stesse fotografie di Lisetta Carmi tendono a cogliere il gesto e la condizione dell’uomo nel quadro del proprio tempo e della propria società. Per cui la fotografia supera subito il limite di illustrazione per diventare strumento di conoscenza e testimonianza di vita. Come ricorda Piero Racanicchi in un articolo del 1966 (comparso sulla rivista “Popular Photography Italiana”, n. 110): questa collaborazione ha dato ai sindacati la possibilità di usare il linguaggio fotografico come strumento di informazione.

Ovunque ci fosse una realtà di lavoro, in porto come nelle fabbriche, la sua fotografia diventa di fatto adesione alle problematiche sociali dell’occupazione e delle classi operaie. Attraverso l’obbiettivo, senza retorica, senza pregiudizi, Carmi trova la dimensione morale che trasforma la condizione umana in verità e, di conseguenza, in bellezza.


Lisetta Carmi nasce a Genova il 15 febbraio 1924, in un’agiata famiglia borghese. A causa delle leggi razziali è costretta nel 1938 ad abbandonare la scuola e a rifugiarsi con la famiglia in Svizzera. Nel 1945, al termine della guerra, torna in Italia e si diploma al conservatorio di Milano. Negli anni seguenti tiene una serie di concerti in Germania, Svizzera, Italia e Israele. Nel 1960 interrompe la carriera concertistica e si avvicina in modo casuale alla fotografia trasformandola in una vera e propria professione. Per tre anni lavora come fotografa al Teatro Duse di Genova. Accetta diversi incarichi dal Comune di Genova realizzando una serie di reportage in cui descrive le diverse realtà e problematiche sociali della città come, ad esempio, gli ospedali, l’anagrafe, il centro storico e le fogne cittadine. Dopo aver realizzato nel 1964 un’ampia indagine nel porto di Genova, diventata poi una mostra itinerante, continua un reportage sulla Sardegna iniziato nel 1962 e che terminerà negli anni Settanta. Successivamente si reca a Parigi e da questo soggiorno nasce il volume Métropolitain, libro d’artista contenente una serie di scatti realizzati nella metropolitana parigina. Nel 1965 prende corpo il suo progetto più noto, che nel 1972 diventerà un libro, dedicato ai travestiti genovesi. Nel 1969 viaggia per tre mesi in America Latina e l’anno successivo in Afghanistan e Nepal. Nel 1971 compra un trullo in Puglia, a Cisternino. Il 12 marzo 1976 conosce a Jaipur, in India, Babaji Herakhan Baba, il Mahavatar dell’Himalaya, incontro che trasformerà radicalmente la sua vita. Lo stesso anno è in Sicilia per incarico della Dalmine per il volume Acque di Sicilia, dove sono raccolte immagini del paesaggio e della realtà sociale della regione, accompagnate da un testo di Leonardo Sciascia. Negli anni realizza una serie di ritratti di artisti e personalità del mondo della cultura del tempo tra cui Judith Malina, Joris Ivens, Charles Aznavour, Edoardo Sanguineti, Leonardo Sciascia, Lucio Fontana, César, Carmelo Bene, Luigi Nono, Luigi Dallapiccola, Claudio Abbado, Jacques Lacan e Ezra Pound, di cui si ricordano i celebri scatti realizzati nel 1966 presso l’abitazione del poeta sulle alture di Zoagli in Liguria.

Negli anni successivi Lisetta Carmi si dedicherà completamente alla costruzione dell’ashram Bhole Baba, a Cisternino, e quindi alla diffusione degli insegnamenti del suo maestro. Nel 1995 incontra, dopo trentacinque anni, il suo ex allievo di pianoforte Paolo Ferrari e inizia con lui una collaborazione di studio filosofico-musicale.
Lisetta Carmi attualmente vive a Cisternino.


La mostra è organizzata dalla Fondazione Diesse, in collaborazione con il Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti & Democratici al Parlamento europeo, nell’ambito della rassegna “Pci 100° – nel segno del lavoro”

Inaugurazione il 6 aprile alle ore 15. Intervengono Camillo Bassi (Fondazione Diesse), Paolo Emilio Signorini (presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale), Antonio Benvenuti (console della Compagnia Unica) e Gianni Martini (curatore della mostra).

La rassegna ha il patrocinio di Regione Liguria, Comune di Genova, Università degli Studi di Genova, Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, Ufficio Scolastico Regionale, Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti & Democratici al Parlamento europeo, Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura. Ed è realizzata con il contributo di: Fincantieri, Boero, Coop Liguria, Novi, Genova Industrie Navali, Giglio Bagnara.