Salta al contenuto

Fondazione Palazzo Ducale Genova

Pina Inferrera. Fragile, maneggiare con cura
dal 10 al 19 giugno 2021, Ducale Spazio Aperto
ore 16-20, ingresso libero

Il titolo della mostra è riferito alla delicatezza degli equilibri che regolano il rapporto con la natura e alla fragilità dell’essere umano, sia per la sua condizione, sia per gli impedimenti che può riscontrare nel suo relazionarsi con “l’altro”.

La ricerca di Pina Inferrera negli anni, ed in particolare da quando ha iniziato a prediligere la fotografia come media espressivo principale, è sfociata in immagini sempre più rarefatte e delicate, raggiungendo in ogni caso efficacia simbolica. Proprio a dimostrazione del fatto di come non vi sia bisogno di gridare per farsi ascoltare Inferrera racconta nei suoi paesaggi intimistici la comunione degli elementi naturali: dell’aria, della terra, dell’acqua, sui quali regna regista assoluta la luce.

La rarefazione della messa a fuoco, la tecnica della sovraesposizione, il gioco dei riflessi, hanno reso nel tempo le sue opere sempre più delle mappe di codici dell’animo da decifrare, perdendo la connotazione del racconto di un luogo e di un tempo, e casomai rappresentando uno stato emotivo. Sono diventati racconti di uno stato dell’essere, di un sentire individuale, che come avviene in letteratura con la migliore poesia, si tramuta in sentimento universale. Nella recente
serie Ramificazioni, dove i rami si intrecciano all’infinito divenendo ragnatele e reti raccoglitrici di ricordi e di emozioni, lo sguardo si perde alla ricerca di un percorso, di una via d’uscita, come in un avvilupparsi interminabile di pensieri. Nelle sue ultime opere della serie Fragile, maneggiare con cura Inferrera affronta la tematica della fragilità degli esseri viventi nella dimensione del sublime.

Le prime opere della serie hanno avuto origine nell’autunno del 2019. L’artista è partita da scatti eseguiti in Trentino in un contesto naturalistico affascinante ma austero, con l’incombenza e presenza prepotente delle montagne che imperano. In quel contesto naturalistico per certi versi estremo seppur relativamente vicino ad aree urbane, elementi vegetali delicati e spontanei sono diventati metafora di una fragilità unica e preziosa. Rami, parti di piccoli arbusti, minuscoli fiori, si sovrappongono perdendo totalmente la loro direzione spaziale e diventano parte di un’unica placenta sottile e trasparente. Al punto tale che diventa presso che impossibile identificarne la specie o anche solo la categoria. A quel punto l’essere vegetale diventa più genericamente una entità biologica e materia organica ed un totem spirituale. Difficile connotare l’oggetto raffigurato nella categoria delle sole piante in quanto potrebbe essere più genericamente qualificabile come un’unione di cellule, di molecole, di materia. La materia raffigurata da Inferrera si è trasformata ed aleggia in quello stadio delicato e provvisorio dello stato di passaggio. Dell’essere per non essere.
Un vegetale che è spirito e pensiero. Questa la fragilità cui allude l’Inferrera: la delicatezza dell’essere che sta mutando, che è in transizione. Nella mutazione tutti gli esseri viventi vivono un preciso momento di fragilità: abbandonano uno stato per ritrovarsi in un altro. Da lì il “maneggiare con cura”, il rispettare i tempi e la condizione, per non perderne l’intima ed assoluta bellezza. Tutti gli esseri viventi, sia del mondo vegetale, sia del mondo animale, non sono mai uguali a se stessi: attimo dopo attimo mutano, si trasformano, muoiono e si rigenerano. Sopravvivono e resistono a qualcosa e si lasciano morire dinnanzi a ad una altra forza o energia. Abbandonano uno stato per ritrovarsi in un altro. Una mutazione chimica, biologica, alchemica continua ed incessabile, che è
sintomo talvolta di caducità ma in molti altri casi è prova di resistenza adattiva nel tempo. Ogni opera di Fragile, maneggiare con cura rappresenta una sorta di haiku visivo: evanescente, allusivo ma incisivo. Osservando alcuni di questi lavori, mi sono ricordata di un haiku in particolare, in verità assai famoso, di FukudaChiyo-ni che tratta di un fiore noto e citato sia nelle arti figurative (in particolar modo nelle stampe del mondo fluttuante o ukiyo-e), sia nella letteratura giapponese, l’asagoo ( il cui significato è “ volto del mattino”). Si tratta in termini botanici del convolvolo, un fiore a campanula delicato e precario, che dura un giorno solo, ma la cui pianta rampicante si aggrappa tenacemente tanto da diventare una delle infestanti più temute dai giardinieri, in quanto inestirpabile. Cristina Gilda Artese


La ricerca artistica di Pina Inferrera è rivolta alla identificazione della realtà circostante con l’intento di indagare l’uomo e il suo habitat. Spazia dall’osservazione della natura e l’ambiente, all’analisi di reperti. Ha sperimentato varie possibilità espressive: video, installazioni, scultura, fotografia. Adoperando scarti industriali ha realizzato opere site-specific dalle dimensioni imponenti capaci di ridisegnare lo spazio. Ha usato materiali innovativi che negli anni ‘80 ha definito “La Natura creata dall’uomo”. La fotografia è il mezzo privilegiato, e pur partendo dall’osservazione obiettiva della realtà, non rinuncia alla poeticità della visione. Le sue immagini si muovono fra reale e surreale in una natura incontaminata in cui l’uso particolare della luce suggerisce uno spazio spirituale. La sua aspirazione è di condividere un percorso del contemporaneo esaminando e mettendo a fuoco problematiche ambientali e lo stato d’animo
esistenziale riconducibile allo Stimmung descritto da Heidegger. L’interesse verso la natura altro non è che una visione dell’uomo come parte intrinseca della natura stessa, una visione panteistica che immagina la spiritualità come la diretta conoscenza ed esperienza dell’universo.


A cura di Olga Bachschmidt in collaborazione con Cristina Artese
Nell’ambito di Parole Spalancate 2021, 27° Festival Internazionale di Poesia di Genova