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Fondazione Palazzo Ducale Genova
Out of step
mercoledì 24 aprile 2019, ore 18
Sala del Minor Consiglio
Guarda la locandina
Concerto de Gli Archi del Rusconi, Piercarlo Sacco direttore e violino solista
Programma:
Felix Mendelssohn-Bartholdy, Sinfonia n. 1 per archi in Do maggiore
Arvo Pärt, Fratres
Niccolò Paganini, Capriccio a violino solo “Nel cor più non mi sento”
Arvo Pärt, Da pacem Domine
Felix Mendelssohn-Bartholdy, Sinfonia n. 2 per archi in Re maggiore
Il concerto per archi OUT OF STEP, è l’anteprima genovese della stagione musicale 2018-19 de Gli Archi del Rusconi, direttore e maestro concertatore Piercarlo Sacco, violinista di caratura internazionale e già allievo di Salvatore Accardo e Ivan Krivenski. In programma le prime sinfonie giovanili di Felix Mendelssohn- Bartholdy, Fratres di Arvo Pärt e e le Variazioni “Sul cor più non mi sento” di Niccolò Paganini. Dal 2019 il progetto L’Estro armonico a cura di Marco Pisoni, dopo l’integrale dell’omonima raccolta vivaldiana, dei Concerti grossi di Arcangelo Corelli e dei Concerti per violino o a più violini di Johann Sebastian Bach, affronta una nuova sfida biennale, sui palchi ormai tradizionali di Bellinzona e Rho, anticipati dalla Anteprima genovese: l’esecuzione completa delle 12 sinfonie per archi di un giovanissimo Felix Mendelssohn-Bartholdy, composte dal 1821 al 1823. Scritte fuori passo e incredibilmente fuori età, si uniscono eccentricamente all’ Out of Step of the Zeitgeist di cui parla Steve Reich a proposito del Compositore estone Arvo Pärt, del quale vengono affrontate, fra le altre, le pagine di Fratres e di Darf ich… Out of Step è una produzione ADRmusica.
Note di sala
Attorno al violino e all’orchestra d’archi si confrontano tre autori diversissimi, ma accomunati da una condizione esistenziale inquieta tradotta in musica di ricerca. Ricerca che inizia con un viaggio dentro di sé, nel confronto con la società e la sua cultura, per forgiarsi un linguaggio proprio e originale, che si distingua dalla langue comune del panorama musicale circostante.
Incontriamo il grande compositore romantico Felix Mendelssohn-Bartholdy, in una fase precocissima della sua esistenza: dodicenne, ma già in grado di realizzare un catalogo impressionante grazie al confronto con modelli illustri, da Bach a Mozart, sopperendo così alla limitatezza delle proprie esperienze esistenziali. Al 1821 risalgono le prime due di dodici sinfonie per archi risalenti agli studi berlinesi. Il talento in erba vi realizza un compiuto microcosmo espressivo. Si apprezzi il tono festivo degli Allegro d’apertura; il linguaggio già pienamente mendelssohniano dell’Andante della Sinfonia n. 1, anticipazione dei tempi lenti delle sinfonie mature; l’Andante, magnifico, della Sinfonia n. 2, la cui delicatezza mette a frutto il quieto misticismo insito in quella scrittura polifonica di ascendenza barocca che infonde vita brillante all’Allegro vivace con cui si chiude questo secondo lavoro.
2000 chilometri più a Sud Niccolò Paganini completava il 23 novembre di quello stesso 1821 il Capriccio a violino solo in programma. D’una generazione più anziano di Mendelssohn, col quale avrebbe suonato un decennio più tardi, da anni affermato solista free-lance, Paganini scelse come volano per l’esibizione d’un virtuosismo trascendentale un tema allora celeberrimo, variato anche da Beethoven: quello dell’aria «Nel cor più non mi sento», classico del belcanto italiano dall’opera L’amor contrastato (o La Molinara, 1788) di Giovanni Paisiello, compositore prediletto di Napoleone. Al tema, incantevole e dalla struttura opportunamente semplice per costruirvi delle variazioni, Paganini ricorse anche nel Ghiribizzo n. 16 per chitarra e in un perduto Pot-pourri per violino e orchestra, e ancora in un’altra, tarda versione del nostro capriccio. Pagina terribile per le sue difficoltà, spesso eseguita dall’autore in tutta Europa, venne pubblicata nel trattato di Carl Guhr L’arte di suonare il violino di Niccolò Paganini a dimostrazione delle asperità inaudite escogitate dal genio genovese.
150 anni dopo violino e orchestra d’archi assumono tutt’altro colore nella poetica dell’estone Arvo Pärt, promotore, soprattutto dai tardi anni Settanta, d’un linguaggio musicale che affonda le radici nella spiritualità della Chiesa ortodossa, antidoto alla cultura dell’U.R.S.S. della Guerra fredda. Caratterizzato da semplicità, immobilità ieratica e incantatoria, rivisitazione di tonalità e modalità, grado zero dell’espressione, il «minimalismo sacro» di Pärt ci viene incontro con Fratres (1977), che coniuga virtuosismo e lirismo in un’arcata che dall’iniziale esibizione di energia porta alla pacificazione conclusiva, e con la preghiera di Da pacem Domine, la cui originaria versione per quattro voci a cappella su testo veterotestamentario, trascritta per archi dall’Autore, nacque in commemorazione dell’attentato di Madrid del 2004. L’uno e l’altro, sguardi calmi e pensosi sul nostro inquieto mondo contemporaneo.
Raffaele Mellace, Professore di Musicologia e Storia della musica – Università degli Studi di Genova
Ingresso libero, fino a esaurimento posti